FINCHE’ AVREMO LA SUFFICIENTE PAZIENZA

29 02 2012

Et voilà, sono a C.A.S.A.

Dopo una sosta all’elettrauto causa due mesi di immobilità della mia macchina, ho ripreso il contatto con la mia città-territorio(estesissimo, ormai) prima di rituffarmi da domani nel “jam” della routine lavorativa. Commissioni da sbrigare, saluti da fare, contatti da riprendere. Giravo (lentamente incolonnato nel traffico di sempre), riscoprendo angoli del mio cielo.

Chi mi ha visto dice che lo facessi con espressione felice. Ed è vero, i due mesi trascorsi mi hanno donato uno stato di grazia evidente, di cui io percepisco gli aspetti esteriori ed interiori. Torno a casa con nove kg in meno ( a Parigi si cammina, non si è costretti a salire in macchina per andare da A a B), mi sento più reattivo e contemporaneamente disteso. Vigile, senza essere sull’attenti. Neurologicamente ristorato, decisamente (più) orientato. Con altrettanta nettezza non posso non notare che qui non c’è stato nessun cambiamento tangibile. Anzi, si annusa fin troppo chiaramente che si sta per abbattere su di noi la nuova ed attesa sciagura delle elezioni amministrative, e che quindi l’unico cambiamento possibile minaccia di dimostrarsi, a brave, un buco nell’acqua che rischia di essere l’ultima delusione. Quella definitiva.

Basta un giro su Facebook, per averne la prova. Articoli scritti dalla solita parte di faziosetti-giornaletti web locali dietro “imbeccata” dei maggiori candidati locali. E scopro che (le combinazioni, alle volte!) dopo tre anni, è pronto il “Piano Strategico” per la ricostruzione del centro storico. Giustamente c’è chi nota quanto l’aggettivo sia sibillino. Strategico per chi, non c’è bisogno nemmeno di starselo a chiedere, visto che la congruenza temporale con le prossime elezioni non può essere nemmeno lontanamente un caso. E chi sostiene il contrario offende la sua intelligenza, prima di quelli a cui lo racconta. Dopo tre anni finalmente sembra sbloccata anche la pratica per la ristrutturazione del mio condominio inagibile ed ora siamo da questa settimana tutti affaccendati nel preparare pacchi, imballare vita ormai congelata ad un’altra epoca, in attesa di poterla domani dischiudere nuovamente nel giorno di un’alba futuribile e forse davvero futura.Quindi, se vai come ho fatto oggi, a casa tua rischi anche di incontrare qualche vicino di casa che finalmente torna per fare qualcosa di utile, e non solo per contemplare la distruzione e l’abbandono.

Dopo tre anni finalmente sono (quasi) tutti usciti allo scoperto con i loro “endorsement” nella marea montante di liste civiche candidate al riscatto, alla rinascita, a rimettere ali alla nostra Aquila zoppa perché possa “tornare a volare”. Figura retorica diffusissima da queste parti sin dalla prima ora post-sismica, non posso fare a meno di mettere per iscritto quanto la trovi patetica e vuota. Perché in primo luogo per “tornare” a far qualcosa, bisogna assolutamente che quella tal cosa (e nel nostro caso si tratta di un volo, per di più rapace) la si sia fatta anche in passato. E L’Aquila, diciamocelo con tutta onestà, non ha mai (a memoria d’uomo) spiccato alcun volo. Questa è sempre stata una terra di “decrescita felice” o meglio (tutto sommato) serena; negli ultimi anni la serenità l’ha via via persa, fino a dimenticarla del tutto da tre anni a questa parte.

Dunque, questo è il punto di partenza.

Su cui si sono sedimentati tre anni di impegno civico di una parte della cittadinanza, mentre altre porzioni di società partivano per la tangente, chi iniziando seriamente a pensare di levare le tende verso lidi più amichevoli, chi profittando a piene mani degli aiuti a pioggia che venivano inviati dallo Stato a tutti quelli che avessero sufficiente scaltrezza di approfittarsene. Anche se da subito siamo stati raccontati agli Italiani come gente dignitosissima, è inutile negare di cose indegne da parte di aquilani di ogni rango se ne siano viste, e tante. Atti di autentico accattonaggio del più basso spirito, e furbizie più elaborate e redditizie da parte dei soliti, prevedibili, ben introdotti. E condanne levate con sdegno, altrettanto qualunquista, verso chi queste cose le denunciava; che veniva puntualmente tacciato di essere parte ed incarnazione stessa dello spirito del pettegolezzo locale, di quel “dice che” che sembra davvero l’unica cosa incrollabile da queste parti.

Mi rendo conto quanto sia impossibile e forse inutile tentare di riassumere tre anni trascorsi con la prospettiva di chi ci ha pensato immergendosi in una vita finalmente normale, anche se a scadenza. Ma lo scopo del mio scrivere è fare il punto, prendere il fiato e prepararmi a questa lunga permanenza a casa.

Vedo da un lato cittadini frammentati nel concretizzare il loro impegno civile in ambito politico da candidati, e credo che questa divisione sia il miglior favore che si potesse fare ai vecchi interpreti della politica locale. Vedo una stanchissima armata bracalone che è la nostra amministrazione uscente avere addirittura l’ardire di ripresentarsi alla prossima tornata come se nulla fosse stato dei suoi marchiani errori del passato, nonostante siano stati a più riprese ammessi e poi negati, in una continua altalena tra verità e menzogna che è quanto di più deleterio ed insopportabile per una città intera alla ricerca di un punto di senso comune dal quale ripartire. E vedo tanti che aspettano, in disparte e al tempo stesso candidati, che siano tutti gli altri a sbagliare per consegnargli la vittoria del prevedibile secondo turno nelle loro mani, senza fare alcuno sforzo ideativo da sottoporre al vaglio del popolo “sovrano” (che lo ridiventa però, solo ad ogni tornata elettorale e poi la sua sovranità deve dimenticarla fino a nuova interpellanza). Non so, ma le premesse per l’ennesimo fracasso improduttivo mi pare ci siano tutte, perché le basi di questo prossimo, possibile e a questo punto definitivo (?) fallimento collettivo sono state gettate e rinsaldate con l’inutilità deleteria di questi tre anni trascorsi senza mai incontrarsi davvero. Tre anni passati chi a rimboccarsi le maniche per costruire un’alternativa partecipata dal basso, chi ad accreditarsi per il suo prevedibile impegno politico (o a cercare di restare in sella per il futuro)  e chi, molto più semplicemente (e sono purtroppo la stragrande maggioranza) a farsi, come sempre e in tutta naturalezza, i cazzi propri. Insomma, quì si vuole andare avanti senza essere d’accordo né essersi minimamente parlati di quanto ci lasciamo (o dovremmo lasciare, meglio) alle spalle. A me sembra follia.

Come è folle l’essere felici di tornare ad aggirarsi da queste parti, sperando che abbia senso tra qualche anno, la scelta fatta all’alba del 6 aprile, di restare per essere in qualche modo d’aiuto. Finché avremo la sufficiente pazienza.

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