AL n° 24

13 05 2010

Stamattina sono stato a casa. Quella mia.

Quella per cui mia madre si paga il mutuo, per intenderci. Al numero 24.

L’occasione me l’ha fornita la necessità di essere lì per consentire dei rilievi agli ingegneri che si occupano del progetto di ristrutturazione del mio condominio.

Allora così, di buon’ora, me ne sono salito al quarto piano, ed ho varcato la soglia.

Oggi piove, a L’Aquila, come da settimane a questa parte. Eppure casa mia, che ha una bellissima esposizione a sud-est, era luminosa come sempre.

Sorge su una collinetta da cui si vede distintamente il centro della città.

Il castello, la cupola di San Bernardino, e finché quella chiesa ha avuto un campanile, lo si vedeva e lo si sentiva distintamente rintoccare i momenti della giornata.

Da casa mia si vedono quindi alberi, palazzi e un’infinità di tetti tutti diversi del centro città.

Ci vogliono dieci minuti di passeggiata tranquilla, per essere nel cuore dell’Aquila.

E’ sempre stato un luogo tranquillo, abitato da gente perbene, che conosco da sempre. Siamo andati a vivere lì nell’ 85, o forse ’86. I miei ricordi iniziano da lì, non conservo nulla che appartenga alla casa che avevamo prima.

Conosco quindi le famiglie che abitavano nei dintorni; che macchine hanno, le loro abitudini, chi tra loro (come noi) non abbassava mai le serrande prima della notte, e chi invece curiosamente, le teneva quasi sempre a mezz’asta.

So grossomodo che lavori fanno o facevano, in quale appartamento c’è un cane o un gatto. Il mio gatto Giulio, dai balconi di casa  si guardava con gli altri mici d’appartamento, per lo più mentre inseguivano un piccione, una gazza ladra, o quando uscivano per un bisognino, scavando sulle cassette che all’epoca potevamo tenere fuori, all’aperto.

Li ho visti, negli anni, arrivare ed andare via.

E da più di un anno, siamo andati tutti via.

Nessuno dei palazzi intorno al mio è rimasto abitato, dopo il 6 Aprile.

Oggi, in quei palazzi, in quasi tutti, si lavorava: martelli pneumatici, sacchi di cemento. Le finestre che ho visto pulire miliardi di volte dalle nostre vicine, oggi sono tutte imbiancate, schizzate di calce. Ci si prepara a tornare.

Solo poche, oltre quelle del mio palazzo, sono ancora pulite.

E casa mia oggi era pulitissima e luminosa. Forse un po’ disordinata, con quei libri caduti a rimessi a posto un po’ alla rinfusa, appoggiati qua e là quando con mamma siamo andati a pulire, un mesetto dopo il terremoto.

Non c’è però nemmeno un coccio a terra; i muri sono intatti, i tappeti al loro posto.

Abbiamo fatto in tempo a pulirci la cucina, i bagni. A fare, insomma, tutte quelle pulizie che richiedevano l’uso d’acqua. Ora, l’acqua non l’abbiamo più: è stato chiuso tutto l’impianto, per evitare che l’inverno facesse esplodere i tubi, con il riscaldamento spento.

Mentre aspettavo i tecnici, che hanno tardato per quasi due ore, ne ho approfittato senza mettere fretta a nessuno. Mi sono affacciato alle finestre, mi sono seduto su uno dei divani della sala da pranzo. Sono ancora nuovi, li avevamo cambiati da poco, forse due anni. Non sono divani letto come nella C.A.S.A. perché non ce n’è bisogno. A casa mia la sala da pranzo, è una sala. Punto. C’è un camino, un tavolo ovale, una credenza a vetri, una poltrona a dondolo. Lì si legge un libro, si sonnecchia dopo pranzo, si guarda la tv tutte le sere.

Ai compleanni di quando ero un ragazzino, si metteva da un lato il tavolo, allungato, con la tovaglia grande e con tutte quelle coppette di grandezze diverse che formavano un grande fiore, con le foglie. In mezzo io e i miei compagni di scuola, facevamo casino per un po’ prima di scendere nel piazzale a sfogarci del tutto. Sono nato il 3 Giugno, e quei compleanni sono da sempre legati a quella idea di leggerezza che ti da la scuola che sta per finire, mentre l’estate vera, sta lì lì per iniziare.

Poi, ho tolto qualche foglia secca dal pavimento della cucina. Le piante che non ho potuto portare via, i miei due bonsai, sono stecchiti. La nostra cucina non è per niente grande, anzi: piuttosto stretta e lunga. In tre, ci abbiamo sempre mangiato però. E’ il luogo dove per più di 20 anni mi sono trascinato ogni mattina, ancora assonnato. Dove ho fatto i compiti del liceo, quando non volevo restare da solo in camera mia.

Poi, da quando (5 o 6 anni fa) lo abbiamo sistemato come per tanti anni avremmo voluto, sono passato a studiare per l’università dividendomi tra la mia camera e lo studio di casa, che noi chiamiamo “la camera di Papparella”. Si chiama così da quando la prima persona ad averci dormito, 24 o 25 anni fa, è stata una amica di mia madre dei tempi della sua università, che di cognome fa così. E che è stata la prima a dormirci ancora quando l’abbiamo ri-arredata.

Il nostro studio ha 3 pareti su 4 coperte da libreria, un divano-letto, e una scrivania rotonda da un lato. E’ molto allegro, bianco e color melone. Ci si studiava che era un piacere, avvolti da libri e luce. Il termosifone di quella camera è stato eletto da Giulio a suo trono. D’inverno ci passa le giornate, quando i riscaldamenti sono accesi; riconosce il rumore della caldaia condominiale, e ci salta su.

Mentre aspettavo i tecnici, sono passati sotto casa alcuni di quelli che abitano nel palazzo gemello del mio, giusto di fronte a me. Visi noti, notissimi per me. Ferruccio, e il prof Fugaro, il mio professore di scienze del Liceo.

Anche lì, è davvero parso che non fosse cambiato nulla. Per lo meno non ancora.

Se non fosse stato per lo sfondo di qualche crepa dietro di noi, le foglie secche a terra, e le cassette postali lasciate fuori del palazzo a beneficio di un postino cui nessuno potrebbe aprire il cancello, avresti detto che gli ultimi tredici mesi in realtà non sono mai esistiti.

E’ arrivato poi finalmente, il momento dei rilievi. Sono stati veloci, non hanno fatto danni in giro. Sembra che tutto sia a posto, che non si incontrino brutte sorprese.

L’ingegner Martella era lì. E’ il mio vicino di pianerottolo. E’ il progettista della casa, fratello del costruttore, e lì ci vive da quando la casa esiste.

Ai tecnici che, facendo rilievi commentano positivamente ciò che vedono, dice con orgoglio che la casa sta bene, e che è stata fatta come si deve, nonostante sia del ’68. E come dargli torto. Quella casa c’ha salvato la vita.

Finiti i rilievi, è il momento d’andarsene. Sembra innaturale, ma per ora non è abitabile. E per assurdo, lì ci saresti dovuto entrare con i Vigili del Fuoco. Così vuole la regola, per gli edifici classificati E. Inagibili.

Scatto due foto, e salgo in macchina. Anche lì, tutto torna.

Non c’è una rotonda da fare per entrare in strada. C’è un incrocio. Ti fermi e riparti, imbocchi la salita che hai fatto negli anni a piedi, poi in bici, poi in motorino e poi in macchina. Come il primo giorno di patente. E metti la seconda nello stesso punto di sempre della salita.

E’ lì, la normalità. Quella che ti sei scelto, con la tua famiglia per la vita.

Non so per quanto tempo ancora, ma tocca rimettersi in viaggio per il quartiere anonimo e finto e costosissimo dove altri hanno deciso che dovrai ripararti per un tempo indefinito. Dove nessuno si conosce, e non sembra volersi conoscere. Come se lì si fosse per villeggiatura, non per vivere. Nessuno sembra volersi stabilire in un luogo che non ha scelto. Diffido di chi li apprezza, quei luoghi. Diffido da chi non dimostra la volontà di riavere ciò che aveva.

Il tempo sembra fermo in modi diversi, in quei due luoghi. Lo si può percepire positivamente fermo quando torni a casa.

Nella tua tana di bestia, (perché in fondo questo siamo) .

Al numero 24.

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13 responses

13 05 2010
antonio

Caro amico, abbiamo avuto due grandi disgrazie: il terremoto e berlusconi. Pazienza, il terremoto è già passato; anche berlusconi passerà. Noi siamo forti, ne abbiamo passate tante (io per altri motivi), eppure eccoci ancora qui.
Tutto passa. In Sicilia, c’è un proverbio: bonu tempu e malu tempu, non durano tuttu u tempu. (Cose buone o cattive, non durano per sempre).
Mio nonno diceva: la vita è come una ruota. Quando tocchiamo l’asfalto, è il momento che abbiamo tutto il peso da sopportare, ma è breve, perchè staremo molto tempo sia lateralmente che in alto.
Coraggio.
Antonio.

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13 05 2010
marco

caro amico dal tuo racconto si vede l’amore per la tua città la voglia di tornare alla normalità cose scontate che si vuole tornare alla normalità ma in italia non è cosi si tende sempre a far tornare la normalità più tardi possibile si pensa a fare sporchi giochi politici alle spalale di cittadini inermi ma mai e poi domi e piegati al sistema complimenti complimenti davvero caro amico che rendi pubblico ciò che i mass-media politico-guidati ci nascondono (sono costretti). il giornalista che non rispetta le regole è fuori purtroppo…. è questa la realtà che tu di sicuro sai bene. concludo dicendoti ancora una volta lo avrai sentito ripetere 1000 volte coraggio e non mollare(non mollate) mai la gente informata è con voi…..

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13 05 2010
alessio

Concordo su tutto.
Quelle tane di bestia all’interno delle quali ognuno ha costruito il proprio mondo non potranno mai essere sostituite da quelle “gabbie pe ji cuniji” anonime e (per me) tristi.
La mia vecchia casa è crollata lunedì dopo 13 mesi di resistenza e posso essere contento di chi, 95 anni fa, la costruì: fossi stato dentro non mi sarei nemmeno sporcato di polvere.
Ora voglio solo rifarla, di pietra, di legno, di, mattoni, di merda, non importa: da lì sono partiti tanti anni fa i miei nonni e bisnonni e lì devo ritornare.
Ogni anno, anche quando tutto sarà diverso da come era un anno fa.

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13 05 2010
giusi

Sembra quasi che parli di casa mia. Pensa, quando torneremo potremo essere dei vicini di casa. Ci scambieremo saluti e staremo a cena insieme. La mia casa è meravigliosa, come la tua.
E la riavremo
Giusi

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13 05 2010
Federico

Si Giusi. Prima possibile. 🙂

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14 05 2010
Antonella

Ciao Federico, vedere casa dei miei nella foto e leggere quello che scrivi è, come sempre, commovente. Mia madre e mio padre e, per anni anche mia sorella e io, siamo stati tra quelli che facevano parte della tua vita quotidiana, come tu e i tuoi della nostra. Vivo a Roma da tantissimi anni, ma quella è, e sarà sempre, casa mia, la casa dell’infanzia, dell’adolescenza e poi dei weekend rilassanti, dei compleanni in famiglia, del Natale tutti insieme. Del resto, non smetto di fare pellegrinaggi settimanali per venire a ”visitarla”, prendere la posta, fare l’ennesimo cambio di stagione per i miei che ormai, dallle 5.30 di quel 6 aprile, vivono a Roma, e guardare, anch’io, le piante morte, troppe per poterle salvare tutte.
Leggendo i nomi di coinquilini e dirimpettai che conosco bene, per un attimo mi sono sentita, appunto, a casa, come se nulla fosse accaduto. Ed è stato bello, confortante. Mi ha fatto dimenticare lo strazio di questo lunghissimo anno passato a cercare di sistemare le cose in modo che tutti, i miei e gli altri parenti, potessero avere una vita ”normale”, nonostante senza casa, esuli e, fortuna sfacciata, anche senza terra perché espropriata… Ma devo tornare con i piedi per terra perché, come sai, anche chi è fuori continua a lottare, a cercare soluzioni, per una città e una vita personale umiliate da questa politica oscena. Troppe righe lo so, ma stavolta non ho potuto trattenermi… Grazie, ancora una volta, per essere lì con tanta forza, determinazione e chiarezza. Antonella

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14 05 2010
Federico

Si, Antonella, so bene che si lotta dovunque. E lotto da quì perché so di non essere solo, non solo a L’Aquila.
Ho scritto questo post perché proprio ne avevo bisogno.
Perché, pur nella frustrazione che si prova a rientrare in una casa che ti devi dimenticare per ora, ho creduto che queste sensazioni dovessero essere conosciute da chi quì non c’è mai stato e quindi diversamente non potrebbe capire.
Ma l’ho scritto anche sperando che leggesse qualcuno come te, che viene da lì, che non può conoscere con facilità le ultime notizie, col solo scopo di farvi sapere che casa c’è. Sta bene, e ci aspetta. Tanto quanto noi aspettiamo lei.
Federico

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14 05 2010
maurizia

Se qualche volta ancora dovesse sorprendermi un moto di sconforto ed il senso dell’inutilità del sacrificio che costa salvare una casa che pago per la seconda volta per vederla da lontano e ripassarne tutti gli angoli con la mente quando non dormo, rileggerò questo tuo scritto . Ed il ritorno sarà possibile.
Sono orgogliosa di te ancora una volta e ti sento mio come nella nostra tana.

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14 05 2010
mimmo

” il genitore lega a sé il suo bambino per poi sciogliere i nodi e permettere il viaggio …”
Ho accettato che sciogliessi il primo abbraccio e che ti volgessi al mondo.
Credo che possiedi tutto ciò che occorra per fare un bel giro.
Papà

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17 05 2010
gabriella

Caro Federico, fortunatamente non ho vissuto il vostro dramma, sono abruzzese però (provincia di Pescara) e quella notte il mostro l’ho sentito.
Da quel momento non facccio che pensarvi e seguirvi. Leggo “ilcapoluogo” e tanti altri siti che seguono le vostre vicende giornalmente, così mi sono imbattuta anche nel tuo Blog.
Vi ho nel cuore tutti voi Aquilani e vicini….
Stamani leggendo la tua ultima lettera mi si è stretto il cuore perchè mi sono immedesimata e mi son ritrovata nelle emozioni che descrivi.
Un abbraccio
Gabriella

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18 05 2010
Federico

Grazie Gabriella, ti abbraccio.

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16 05 2013
Anonimo

rtre
blutti

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20 06 2013
Tawanna

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