A BAITA (UN GIORNO DOPO L’ALTRO)

3 05 2010

Il mio gatto, Giulio, su un termosifone di casa nostra. Quella vera, baita.

Voglio restituire a questo blog, un pezzo della sua originaria funzione. Quella di un diario on line, che piace a me, e non deve piacere a nessun altro. Un pezzo di me, che lascio altrove. Sono stato sin da bambino quello che iniziava un diario “dei segreti” almeno una volta all’anno, e poi lo lasciava lì, senza proseguirlo. Pronto a ricominciarne uno nuovo, mesi più tardi.

Evidentemente non ha mai funzionato. Finora.

Fino ad oggi questo blog, ha svolto una funzione pubblica. Destinata direttamente al pubblico, quello che riuscivo a raggiungere. E’ stato il mio megafono, anche quando non c’era una folla a sentire, e a dissentire. Oggi scrivo una cosa che riguarda tutta la vita che c’è oltre L’Aquila e i suoi problemi. Mi rendo conto che inevitabilmente, anche parlando d’altro riaffiorerà la condizione che viviamo. E voglio che sia così, per chi eventualmente dovesse leggere, continuando a farlo, o magari cominciando oggi per la prima volta.

Dunque, comincio.

Sto studiando per l’esame che in tutti questi anni di Università ho sempre temuto e lasciato da parte. E’ Biochimica, e non mi piace per niente. Lo trovo onestamente uno sforzo fuori luogo. Tutte le materie per le quali avrebbe dovuto prepararmi, sono in realtà esami che ho superato benissimo già da anni. Ora, devo ritornare sulle loro premesse. Ed è davvero dura, oltre che inutile. Non mi piace lamentarmi, e ce la farò. Anche perché questi ultimi 4 esami rimasti li vivo davvero come un intralcio da cui liberarmi al più presto, perché intravedo i miei prossimi anni da specializzando in Radiologia, e mi piacciono tantissimo.

C’è una tesi allettante che ho ottenuto dal professore che vidi la prima volta quando ero uno studente del primo anno di medicina, e mi interessava la neurochirurgia. Era un seminario per studenti, e lì si esponeva anche il lavoro dei neuroradiologi. E da allora, c’ho cominciato a pensare. Oggi, è una scelta fatta, che mi convince al 100%, e devo correre per iniziarla al più presto. E questa maledetta biochimica, la dovrò polverizzare, per andare avanti al più presto. Non mi frega nulla per la prima volta del voto. Basta che sia acqua passata. Mi crea molta meno ansia oggi, sapendo qual è la prospettiva che mi attende.

Così studio, e scrivo meno qui, seguo meno le carriole e le assemblee cittadine, non leggo un giornale aquilano da tanto. Quando posso scappo pure fuori città, e faccio un giretto in camper.

La domenica appena trascorsa, però, ho fatto le stesse cose degli ultimi mesi. Non tanto per contribuire a creare un futuro per la città. Non ieri. Ma solo perché ormai le persone che partecipano a queste azioni,  a queste assemblee, ormai sono amici, sono persone che in ogni caso mi fa piacere aver conosciuto e che frequento con gusto. Un gruppo nel quale mi sento accolto, e fatto di persone che stimo. Abbiamo passato la mattinata insieme, fino al pomeriggio. Dopo, c’era uno spettacolo teatrale da non perdere. E non immaginavo potesse essere così bello.

Ieri sono stato all’Auditorium della Guardia di Finanza. Per chi non lo sapesse, nella enorme caserma che ha ospitato il G8 di quasi un anno fa, c’è una grandissima sala, che si presta da un anno a questa parte a svolgere molteplici funzioni, tra cui anche quella di sostituire, in una provvisorietà indefinita, il nostro teatro Comunale, che è semidistrutto e sta in centro.

Ieri c’era Marco Paolini.Ha recitato il suo “A Baita”, tratto ed ispirato dal romanzo “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern. Lo avevo già visto in tv, mi era piaciuto molto. Ma Paolini, durante tutto lo spettacolo,  ha fatto dei brevissimi ma efficaci rimandi alla nostra condizione aquilana. Ha raccontato una storia al suo pubblico. Senza far finta che il pubblico non ci fosse: più che recitare infatti, raccontava. In un tratto dello spettacolo, una frase mi ha fulminato (si riferiva alla seconda guerra mondiale, vissuta dai soldati del fronte in Russia, attestati sul Don), che diceva grosso modo così:

“Quando non sai quanto a lungo dovrai resistere, rischi di impazzire. E tu Aquila, lo sai bene.”

Quant’è vero. Quant’è poi difficile sapere di dover resistere in un luogo che ami, che è casa tua, quando sai che non è la guerra ad avertelo reso così. Ché, se fosse la guerra, almeno saresti in pace, sapendo che altrove non se la passano meglio. Ancor di più in una guerra mondiale, come quella che racconta Paolini.

Qui, invece, noi restiamo in quel recinto invisibile dei 50 km del cratere. Mentre fuori tutto prosegue indisturbato, e inalterato.

Ci sentiamo un po’ indiani, dentro una riserva. E siamo stati Hamish, quando vivevamo in campeggio permanente, senza i mezzi della civiltà che fino ad allora avevamo conosciuto. Con la differenza che gli Hamish, coscientemente li rifiutano. E noi, volentieri l’avremmo evitato. E così andiamo avanti, senza sapere per quanto dovremo resistere, quando ci sarà l’armistizio, che altri decideranno per noi. Noi, che in pochissimi siamo al fronte, mentre il resto del mondo, vive un periodo di pace.

C’è di che uscirne matti davvero.

Fortuna che abbiamo poi preoccupazioni quotidiane, a cui (secondo me non a caso) molti restano ancora ancorati, forse per ignorare il resto. Per dimenticare il contesto: c’è il lavoro, la spesa da fare..problemi piccoli, che possono distogliere lo sguardo dai recinti che delimitano la riserva. Che ti possono efficacemente illudere che la normalità sia un centro commerciale che si chiama ” i 4 cantoni”, (come quella zona del centro dove abbiamo sfondato le barriere della zona rossa in mondovisione per settimane). Quel centro commerciale, ospita alcuni negozi che prima erano ai 4 cantoni (veri), ma sorge a Paganica. Un paesotto a 10 km dalla città vera.

E’ così, che andiamo avanti qua. A forza di allegorie di quello che avevamo prima. Casette di legno, in luogo delle nostre case di prima. Centri commerciali improvvisati, in luogo dei negozi sparsi nel centro, che prendevano la personalità del vicolo in cui erano, o a cui davano essi stessi un po’ della loro personalità. La spesa e gli acquisti li fai comunque, le vetrine, le guardi comunque. Serve a farti sopravvivere per una giornata, e una dopo l’altra in questa riserva indiana del “cratere”.

Un giorno dopo l’altro, aspettando che il cerchio si chiuda, che l’orologio riparta, che si ritorni a come eravamo prima.

Un giorno dopo l’altro, senza sapere se, e in quanti, ce la faremo a tornare  ” a baita”. A casa.

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5 responses

3 05 2010
tiziana irti

Il messaggio che ci ha mandato Marco Paolini era preciso: dobbiamo sapere. Ora basta con le notizie fumose e le leggende metropoltane. Dobbiamo cominciare a raccogliere dati certi, a pretendere di sapere la verità su tutto: sui programmi, sui progetti, sui soldi, sui tempi, sulle modalità. Anche se questa verità spaventa prima di tutto noi stessi e poi coloro che la tengono ben nascosta perchè sanno che è impopolare. In questo senso l’iniziativa di ieri potrebbe aprire un nuovo capitolo di questa nostra resistenza di cittadini feriti dal terremoto e umiliati dal post-terremoto. Abbiamo tante domande: ieri le abbiamo affidate alle carriole. Domani dobbiamo farle a chi ha le risposte e, se non le ha, deve lavorare per darcele. Questa è oggi la mia esigenza: avere dati certi e conoscere quello che ci aspetta. Per attrezzarmi ad affrontarlo e per dare ai miei figli una consapevolezza piena di cosa li attende perchè abbiamo il dovere di non lasciare alle generazioni più giovani delle speranze che certamente verranno disattese.
Grazie Federico per l’opportunità che mi hai dato di poter esprimere il mio pensiero. Tiziana

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3 05 2010
Federico

Tiziana, è vero. Trasparenza mi sembra poco. Bisogna sapere anche le intenzioni, non conoscere le decisioni già prese nei minimi dettagli.
Alzare il tiro. Posto che, nel frattempo, non ci danno chiarezza nemmeno sulle scelte già fatte.

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4 05 2010
Maria Camilla Spadano

Ogni volta leggerti è una “botta” al cuore, da lontano si possono comprendere, condividere le vostre problematiche, ma vivere a pieno la vostra L’Aquila è tutt’altra cosa. Vi sono vicina!!! Maria Camilla(Lanciano)

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22 05 2010
Patrizia

Ti ho trovato per caso, non so neanche come ma sicuramente so che l’ho fatto stando rinchiusa in pochi metri quadri in una casetta “di B.”. E’ stato molto bello leggere quello che hai scritto … è vero, non ci vevo mai pensato, ma viviamo in una riserva. Mi sono ritrovata nelle tue parole, quel far finta di niente, quel rimandare indietro le lacrime perchè non è mai il momento … Guardo le case di chi mi è compagno sulla piattaforma e mi rendo conto che quasi tutti hanno personalizzato interni ed esterni, ma io no. Sono ancora con le valigie vicino al letto, continuando a dire che prima o poi cercherò di cambiare qualcosa. Ma la sensazione è che dovrò andar via a breve, come ho fatto in questo ultimo anno, cambiare posto dove dormire ogni tre, quattro mesi. E’ la precarietà di tutto. Sembra quasi che stia ancora aspettando di tornare a casa …
Grazie

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22 05 2010
Federico

Grazie a te,Patrizia. Benvenuta sul mio blog,spero di leggerti nuovamente.

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